ISOLA MADRE
IO E TU, ISOLA GRANDE
Siamo state innamorate io e te.
Lungamente, profondamente.
Forse posso dire che il nostro è stato l’unico rapporto tra femmine della mia vita.
Io e tu, isola grande.
Quanto ci siamo volute.
Eri bellissima, affascinante, selvaggia, semplice ma abbagliante.
Sapevi di semplicità e famiglia.
Sono passati venticinque anni da quando ci siamo conosciute e ora non ti riconosco più.
Hai voluto cambiare mondo, non lo vuoi ammettere ma quel mondo non ti appartiene.
Ci sopportiamo nei lunghi inverni, poi fuggo, ti guardo, ti amerò per sempre in quei ricordi da lontano.
COME LA POMICE
Un’isola può anche diventare un cumulo di ricordi che si sgretolano come la pomice.
Il mare che la circonda può rischiare di annegarti tutte le volte che provi a metterci dentro un piede per sentirne la temperatura.
Un’isola può anche avere sentieri che quando li percorri con lo sguardo ti portano dolcemente in cima e quando inizi a camminarli ti franano sotto i piedi.
Un’isola può riservarti notti dove il buio non lascia spazio a nessuna stella e allora tu inizi a perdere l’orientamento, a brancolare.
Un’isola può accoglierti con un vento che ti fa sentire viva ma può anche toglierti il fiato con il suo caldo umido che pesa sui tuoi pensieri e sulle tue spalle.
Un’isola è una proiezione.
Un’isola è un’alba che ti trova senza sonno.
UNA NUOTATA SUL FONDALE DI ACQUACALDA
Nuoto guardando il fondo con la mia inseparabile maschera, una sorta di macchina fotografica che mi permette di vedere, fissare, stupirmi oltre lo schermo distorto dell’acqua che si frappone tra la mia vista e il mondo sommerso. Amo nuotare, mi fa sentire leggero, libero, svincolato dalle morse crude e inguardabili della Vita.
Amo guardare “oltre” un mondo che vive abitualmente inosservato dall’occhio umano la sua routine. Appaga la mia insaziabile curiosità di sapere. Scorgo dinnanzi a me, mimetizzati superbamente un copioso branco di muletti che ne loro avanzare in flotta assumono un incedere elegante, voluttuoso ma soprattutto sorprendentemente sincrono che fa di loro un unico essere natante.
Decido di ridurre le mie bracciate, quasi a non voler interrompere questa danza orientaleggiante e decido di seguirli da lontano prima, dopo e quasi ad emulare il loro avanzare annullo le mie bracciate e inizio a mimare. Il loro nuotare, sembrano capire il mio goffo tentativo, ho l’impressione che si siano abituati alla mia presenza, mi accettano dopo un po’. Avanzo sott’acqua liberando piccole bollicine d’aria che minuscole raggiungono il limite tra il mare e il cielo. Mi muovo a poco a poco come loro, ho l’impressione di non aver bisogno più di aria, di non dover emergere per riprendere aria.
Mi accorgo che non uso più le braccia ma a gambe unite avanzo. Mi sorprendo del cambiamento, sopporto il nuovo stato di uomo pesce, guardo intorno e mi accorgo che tutto è armonia, silenzio, equilibrio. La libertà. Ho davvero trovato la libertà laddove pensavo potesse non esistere. Gravato da una colonna d’acqua sovrastante mi sento improvvisamente leggero, strano a dirsi, in sintonia con un mondo a cui non pensavo di appartenere. E quel sogno di bambino, ricorrente nelle mie notti spensierate , quando mi sentivo bene solo nuotando sott’acqua adesso è una realtà. È vero, i sogni si avverano e l’uomo eretto e pensante è divenuto adesso pesce… un pesce libero e invertebrato. La leggenda di Colapesce rivive incredibilmente in me.
ESSERE ISOLA
VISIONE DI UN ABITANTE
Il tempo scorre lento, come la bassa marea che si infrange sui ciottoli pazienti. E gli elementi: terra, fuoco, acqua e aria si intrecciano fortemente nelle menti degli abitanti. Gli elementi decidono le sorti felici o tristi di questo lembo di terra sospeso, in un tempo senza tempo dove i passi lenti, il rumore del mare, la forza del vento diventano un tutt’uno. L’isola te la porti dentro, ovunque vai e ti manca potentemente quando ne sei distante ma in egual modo vorresti fuggire da lei, dalla sua forza e dalla sua incostanza. L’isola è un luogo magico in eterno contrasto tra la voglia di naufragare e quella di restare, non isolata, lontana e dimenticata.
Isola, terra di fuoco e di salsedine come la salsedine brucia dentro. La ami, la odi, come un amore che non puoi dimenticare, come un luogo dove sai che essere felice è reale anche se può finire; un luogo dove ogni emozione e sensazione la vivi davvero, senza filtri, senza barriere, senza reti, l’isola è molto di più dell’idea che abbiamo di lei, l’isola è pietra paziente, un microcosmo tra cielo e mare. L’isola è inverno con le sue strade deserte e il mare in tempesta, bellezza, pura e selvaggia, nascosta nei suoi vicoli e sentieri, nelle piazze in festa, nell’odore di pesce e nelle reti dei pescatori.
Isola. Fotografia costante dell’infinito.
COME RADICI NELLA TERRA
Lipari,
sbarco, i piedi si radicano, come radici nella terra. Mi sento leggera.
Non ho origini eoliane
ho origini vulcaniche.
Mi sento a casa.
DIETRO QUEL CANCELLO
Vivere in un’isola vuol dire vedere i tuoi spazi ridimensionati.
Il distanziamento dalla terra ferma lo misuri con gli occhi ed è sempre occupato dai gabbiani.
Quando vivi in un’isola cammini molto, gli incontri seguono le stagionalità, la tua capacità di osservazione ti porta ad annotare dentro di te quello che di strano incontri passando per un vicolo in un lento giorno qualunque.
Sono passati tanti anni, un cancello semiaperto e arrugginito, ogni tipo di rifiuto e sei gatti malconci.
Giorni e giorni di andirivieni per nutrirli, e poi un desiderio: aprire quel cancello.
Alberi di aranci e limoni quasi annientati dalla sporcizia e un bosco di canne a fare da nascondiglio a queste creature senza padroni.
La voglia di liberare gli agrumi, di usare assi abbandonati per creare un riparo, l’aiuto di chi ama incondizionatamente i gatti.
Oggi quel cancello si apre a tanti bambini che vengono a coccolare e farsi coccolare dai manti morbidi e amati dei gatti che qui vivono felici.
EMMA
Com’è vivere su di un’isola d’inverno?
La domanda proveniva dal solito turista alla solita ora del check out. La risposta le sembrava ovvia, anche se per lei Lipari era stata una scelta.
Chissà perché quella era l’unica domanda, infondo Emma aveva capito che l’isola doveva diventare la sua casa proprio fuori dal trambusto dell’estate, perché non le stava stretta e non l’annoiava.
Voleva rispondere a quell’uomo che la guardava dall’altra parte del desk che vivere sull’isola non era stata l’imposizione di nessuno, che Lipari l’aveva desiderata e per questo ci si trovava adesso, che il resto del mondo lo aveva esplorato, amato e odiato ma adesso aveva scelto di radicare qui.
Lipari le stava bene: mondana abbastanza quando ne aveva voglia e isolata abbastanza appena girava la curva per Acquacalda, la sua frazione preferita, “l’isola nell’isola” come l’aveva giustamente denominata suo marito. Ogni volta che si ripeteva nella testa quell’espressione ne provava invidia, l’avrebbe voluta inventare lei per prima.
“Non ti senti limitata dal mare?” Di nuovo un’altra solita domanda.
“Io lo sento senza confini. Un mare che racchiude i contorni di un’isola, che la protegge e la modifica per me è energia positiva, è divenire, è vita” aveva risposto con foga.
“Non potrei vivere in un luogo lontano dal mare. I miei occhi necessitano di un orizzonte infinito dove acqua e cielo si confondono e dove ogni tanto un’isoletta interrompe l’errare dei miei pensieri”